Sono anni che ho a che fare con la fatidica “fase di comfort”. L’ho fatto forzatamente e in primo luogo da atleta.
Ogni volta, tutti gli anni, ad ogni curva ero costretta a nuovi movimenti alla ricerca della progressione tecnica e con loro a provare nuove sensazioni. Dunque ho sempre combattuto con LEI!
Quando un movimento viene ripetuto innumerevoli volte allo stesso modo, viene per cosi dire metabolizzato dal corpo, automatizzato. Esso si replica senza che si debba pensarlo e a quel punto, curva dopo curcva, si prova una sensazione di gradevole comfort.
Ma quando si è costretti ad eseguire correzioni motorie alla ricerca di gesti tecnici più evoluti e prestazioni proporzionalmente crescenti, tutto si complica terribilmente.
La prima difficoltà consiste nel comprendere bene il movimento da eseguire, la seconda nel cercare di farlo correttamente e da ultimo nel codificarlo, percependo in profondo le nuove sensazioni provate.
Ecco, è proprio durante questa fase di “ascolto” e percezione profonda che si prova una sensazione assolutamente sgradevole. La discesa si accompagna normalmente ad una condizione di apprezzabile disagio, di poca convinzione e scarsa fiducia nel nuovo gesto.
Invece, ascoltate molto bene, è proprio cosi facendo, ovvero allontanandosi dalla propria fase di comfort (entro la quale ci sentiamo “giusti” e sicuri) che si approccia il vero miglioramento.
Su di me questa cosa l’ho provata nitidamente durante una gara di coppa del mondo a Lienz. Nel corso di una fase di importante cambiamento tecnico, scendendo tra le porte dello slalom ero straconvinta di stare effettuando una pessima prova; il cronometro invece si fermò con mio enorme stupore su un tempo di manche che mi permise, con il pettorale di partenza numero 51, di entrare nelle prime 15 posizioni. Le sensazioni provate furono dunque erronee se confrontate con l’efficacia del gesto tecnico.
Qui potete vedere uno spezzone della gara in oggetto
Da li ho capito quanto il cambiamento sia difficile da digerire a livello emozionale ma che è assolutamente neccessiario mettersi nella condizione di temporanea insicurezza per poter progredire verso un reale miglioramento.
Ora che sono maestra di sci alpino mi trovo più spesso ad affrontare la cosa dalla parte di chi osserva le reazioni altrui ed è allora decisamente difficile far comprendere agli appassionati quando e quanto è importante fidarsi dell’occhio del maestro più che delle proprie sensazioni.
Nella fase in cui l’allievo abbandona l’abituale sensazione di comfort e lavora a lungo (a volte molto a lungo) per stabilizzare un nuovo e più corretto o semplicemente più evoluto gesto tecnico, è di fatto come se per qualche tempo si dovesse rassegnare a sciare senza godere appieno delle belle sensazioni che la sua solita sciata gli procurava... Tuttavia tale meccanismo è necessario e la sua giustificazione credo sia tra le cose piu difficili da trasmettere nel mio mestiere.
Dunque ci sono tre cose che non mentono: il cronometro, un buon maestro o allenatore e il video. A tal proposito, tantissime volte i miei allievi riamangono decisamente stupiti da quanto una sgradevole sensazione provata in pista si declini magicamente in una bella discesa nella visione del video
In buona sostanza... cambiamento a volte fa rima con minore divertimento... ma poi tutto passa. Stabilizzato il gesto tecnico ci renderemo conto di quanto la nostra sciata sia progredita e con essa anche il piacere della discesa!
aspetto i vostri commenti
Babi